La sostituibilità del farmaco biologico.

I. Introduzione.

In un precedente contributo si è dato conto delle problematiche giuridiche connesse con l’utilizzo, da parte del Servizio Sanitario Nazionale, dei farmaci equivalenti di medicinali tradizionali basati su sintesi chimica. In tale sede si è tracciata una distinzione tra i medicinali di riferimento, cd. originator, cioè farmaci già autorizzati e in commercio il cui brevetto sia scaduto, e farmaci equivalenti, basati sullo stesso principio attivo dei primi, i quali possono essere prodotti e commercializzati dalle case farmaceutiche al momento della scadenza del brevetto dell’originator.
Un simile parallelismo – seppur con delle rilevanti differenze, di cui si dirà – si ravvisa anche nel campo dei farmaci biologici, nel quale è possibile distinguere tra farmaci biologici o biotecnologici di riferimento, e corrispondenti farmaci “biosimilari”.
I farmaci biologici costituiscono un tipo di trattamento medico caratterizzato da forte innovatività, utilizzato per la cura o prevenzione di patologie come malattie infiammatorie, autoimmuni, neurologiche e degenerative, insufficienza renale cronica, tumori, ecc .
Nonostante tali tecnologie siano di introduzione piuttosto recente, grazie ai costanti progressi nel campo delle biotecnologie, la gran parte dei farmaci biologici di prima generazione si sta avvicinando alla data di scadenza della copertura , che ai sensi dell’art. 10 della Direttiva 2001/83/CE, si verifica una volta decorsi dieci anni dalla data della prima autorizzazione di immissione al commercio (AIC).
La perdita della copertura brevettuale dei farmaci biologici di riferimento, quindi, permette l’entrata sulla scena terapeutica dei farmaci “biosimilari”, ad essi “simili” per qualità, sicurezza ed efficacia . Ciò può, in alcuni casi, determinare un grado di interscambiabilità tale da permettere che le procedure di gara per il loro acquisto da parte del SSN siano strutturate in modo da mettere in concorrenza fra loro l’originator ed il biosimilare.
Nel senso dell’ammissibilità di tale concorrenza, dopo una serie di incertezze iniziali, sono pervenuti, anche sulla scorta di indicazioni fornite dall’Autorità garante della Concorrenza e del mercato, i più recenti arresti della giurisprudenza amministrativa (infra, § VI), purché siano previste idonee garanzie tali da assicurare, non solo la libertà di prescrizione del medico – con possibilità per quest’ultimo di prescrivere, con adeguata motivazione, ai pazienti cd “naive” (ovvero i pazienti di nuova diagnosi che si sottopongono per la prima volta alla cura mediante medicinale biologico o biosimilare) anche il medicinale risultato più costoso all’esito della gara – ma, soprattutto, tali da assicurare la continuità terapeutica ai pazienti già in cura .
Non a caso, “proprio perché i medicinali biologici di riferimento ed i biosimilari sono medicinali simili ma non identici, l’AIFA ha deciso di non includere i biosimilari nelle liste di trasparenza che consentono la sostituibilità automatica tra prodotti equivalenti ai sensi dell’art. 7 del D.L. n. 347 del 2001, tutto ciò in quadro normativo connotato da cautele che escludono per i medicinali biologici l’applicabilità di meccanismi di sostituzione, switch e intercambiabilità, incidendo sui criteri di strutturazione dei lotti di gara e, di riflesso, sulla concorrenza tra imprese” .
La produzione di farmaci biologici avviene infatti attraverso processi biologici o biotecnologie, che muovono da substrati cellulari (e dunque da una fonte biologica), e che danno vita a molecole più grandi e più complesse di quelle dei prodotti non biologici .
Per tali ragioni, i farmaci biologici, diversamente da quelli di origine chimica, presentano la peculiarità di non essere mai del tutto identici (addirittura fra diversi lotti dello stesso prodotto), a causa della “variabilità intrinseca delle molecole e della complessità dei processi di produzione” .
In altre parole, mentre il farmaco equivalente è la riproduzione fedele del farmaco di riferimento, nel caso del farmaco biosimilare “la non identicità è caratteristica intrinseca di qualsiasi lotto di un farmaco biologico” .
Non a caso, tale differenza viene in rilievo anche sul piano terminologico, dal momento che in questo ambito non si parla di equivalenza terapeutica, bensì, a ben vedere, di mera “similarità”.

II. Struttura e composizione del farmaco biologico. Cenni e conseguenze giuridiche.

I medicinali biologici, secondo la definizione dell’European Medical Agency, sono “farmaci il cui principio attivo è rappresentato da una sostanza prodotta o estratta da un sistema biologico; alcune di queste sostanze attive possono essere già presenti nell’organismo umano, come l’insulina, l’ormone della crescita e l’eritropoietina. Appartengono alla categoria dei farmaci biologici ormoni ed enzimi, emoderivati e medicinali immunologici come sieri e vaccini, immunoglobuline ed allergeni, e anticorpi monoclonali” .
Vengono ricompresi nella categoria dei medicinali biologici anche i farmaci cd. biotecnologici, che sono prodotti con procedimenti di biotecnologia, quali le tecnologie da DNA ricombinante, l’espressione controllata di geni portatori di codici per proteine biologicamente attive nei procarioti e negli eucarioti, comprese cellule trasformate di mammiferi, nonché i metodi a base di 43 ibridomi e di anticorpi monoclonali .
Proprio perché il principio attivo su cui si basano è costituito da molecole complesse – estratte da fonti viventi, oppure prodotte utilizzando microrganismi modificati mediante l’ingegneria genetica – che sono soggette alla normale variabilità naturale, e che perciò permettono di ottenere sostanze non sintetizzabili normalmente in laboratorio , i farmaci biosimilari costituiscono quindi una “nuova versione” del farmaco biologico di riferimento. Si è così affermato come il processo di produzione di tali farmaci sia talmente caratterizzante che “il prodotto è il processo di produzione”.
Tutto quanto premesso contribuisce quindi a determinare l’unicità del prodotto, rendendo la non identicità “caratteristica intrinseca di qualsiasi lotto di un farmaco biologico” .
In ciò dunque, come si è detto, consiste la peculiarità dei farmaci biosimilari rispetto ai farmaci equivalenti, i quali sono, dal canto loro, la riproduzione fedele del proprio farmaco di riferimento, poiché la molecola che in essi viene riprodotta è il risultato di processi di sintesi chimica farmaceutica tradizionale, che risulta perfettamente riproducibile in laboratori diversi .
Da tale premessa discendono una serie di considerazioni meritevoli di attenzione:
i) dal punto di vista del diritto alla salute del singolo paziente, e della necessità di un opportuno contemperamento con le esigenze di contenimento della spesa pubblica, la non identicità di tali prodotti rispetto al biologico di riferimento impone l’esigenza di garantire il diritto alla continuità nelle cure ai pazienti già sottoposti a terapia;

ii) con riguardo alla tutela brevettuale del farmaco di riferimento, la circostanza che il biosimilare non necessiti (e, per le ragioni di cui si è dato conto, nella maggior parte dei casi non sia in grado) di essere identico al suo originator, è in astratto ipotizzabile che il brevetto che copre il prodotto di riferimento non copra il biosimilare ;

iii) infine, con riferimento alla strutturazione pratica dei lotti nelle procedure di gara di acquisto tra farmaci basati sullo stesso principio attivo, la non identicità dei farmaci in questione rende centrale la questione dell’individuazione dell’oggetto dei contratti di fornitura; in altre parole, se sia possibile porre in gara lotti che comprendano tanto il biologico di riferimento quanto il biosimilare .

III. Quadro normativo.

Tecnicamente, con il termine “biosimilare” ci si riferisce ad un tipo di farmaco autorizzato all’esito di un’apposita procedura di registrazione, simile ad un prodotto biologico di riferimento già autorizzato per il quale sia scaduta la copertura brevettuale . Tale rapporto di biosimilarità, ai sensi dell’art. 15 comma 11 quater, D.L. n. 95 del 2012, “sussiste solo ove accertato dalla European Medicine Agency (EMA) o dall’Agenzia italiana del farmaco, tenuto conto delle rispettive competenze”, con il che il legislatore ha inteso escluderne la automatica interscambiabilità.
Il concetto di “medicinale biologico simile” è stato introdotto nell’ordinamento comunitario dalla Direttiva 2001/83/UE, che all’articolo 10 ne dà una definizione implicita, recepita in Italia all’art. 10, comma 7, del D.lgs. n. 219 del 2006, nei seguenti termini:
“Quando un medicinale biologico simile a un medicinale biologico di riferimento non soddisfa le condizioni della definizione di medicinale generico a causa, in particolare, di differenze attinenti alle materie prime o di differenze nei processi di produzione del medicinale biologico e del medicinale biologico di riferimento, il richiedente è tenuto a fornire i risultati delle appropriate prove precliniche o delle sperimentazioni cliniche relative a dette condizioni. I dati supplementari da fornire soddisfano i criteri pertinenti di cui all’allegato tecnico sulla domanda di AIC e le relative linee guida. Non è necessario fornire i risultati delle altre prove e sperimentazioni contenuti nel dossier del medicinale di riferimento. Se i risultati presentati non sono ritenuti sufficienti a garantire l’equivalenza del biogenerico o biosimilare con il medicinale biologico di riferimento è presentata una domanda nel rispetto di tutti i requisiti previsti dall’articolo 8”.
Nel 2012, mediante un pronunciamento ufficiale, l’AIFA aveva escluso la possibilità di sostituzione automatica tra biosimilare e farmaco di riferimento, lasciando al medico la responsabilità di valutare, caso per caso, l’opportunità di passare dall’uso di un farmaco biologico di riferimento ad un biosimilare . La posizione dell’AIFA con riferimento ai pazienti naive era invece più neutrale, nulla ostando, in astratto, all’adozione di partenza di un farmaco biosimilare .
Tale posizione è stata recepita dal legislatore con la legge di bilancio 2017, mediante l’introduzione del comma 11 quater dell’art. 15, D.L. n. 95 del 2012. A mente di tale disposizione, infatti “non è consentita la sostituibilità automatica tra farmaco biologico di riferimento e un suo biosimilare né tra biosimilari. […] Il medico è comunque libero di prescrivere il farmaco […] ritenuto idoneo a garantire la continuità terapeutica ai pazienti”.
La stessa norma dispone poi, con riferimento alle procedure pubbliche di acquisto di farmaci biosimilari, come non si possano porre in gara nel medesimo lotto farmaci basati su princìpi attivi differenti, anche se aventi le stesse indicazioni terapeutiche.
È evidente come le citate disposizioni siano suscettibili di incidere significativamente sul regime di libera concorrenza che si può determinare tra le imprese farmaceutiche operanti nel mercato, con considerevoli risvolti nelle dinamiche di determinazione del prezzo dei rispettivi farmaci. Il titolare di AIC del farmaco biologico di riferimento può, in effetti, trovarsi ad operare in regime di monopolio di fatto con riferimento ad un determinato principio attivo, situazione che, in assenza di misure tese ad impedirne effetti distorsivi, comporterebbe il rischio di una incontrollata politica dei prezzi da parte delle imprese farmaceutiche operanti nel mercato.
Il legislatore ha inteso arginare tale rischio mediante l’introduzione, con il Decreto Enti Territoriali del 2015, di un correttivo normativo, a mente del quale “Alla scadenza del brevetto sul principio attivo di un medicinale biotecnologico e in assenza dell’avvio di una concomitante procedura di contrattazione del prezzo relativa ad un medicinale biosimilare o terapeuticamente assimilabile, l’[AIFA] avvia una nuova procedura di contrattazione del prezzo […] con il titolare dell’autorizzazione in commercio del medesimo medicinale biotecnologico al fine di ridurre il prezzo di rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale .
In altre parole, decorso il periodo di esclusiva per il titolare di AIC, quest’ultimo è in tal modo posto in condizione di rinegoziare il prezzo del rimborso dei farmaci da parte del Servizio Sanitario Nazionale, a prescindere dalla circostanza che per lo stesso principio attivo siano presenti o meno concorrenti farmaci biosimilari.
In attuazione del decreto, il 25 settembre 2015 l’AIFA ha emanato la Determina n. 1252/2015 (“Rinegoziazione del prezzo di rimborso dei medicinali biotecnologici” ), con cui ha approvato l’elenco – comprensivo di numero di AIC, principio attivo e titolare di AIC – dei medicinali biotecnologici oggetto della rinegoziazione.

IV. Richiesta di AIC.

La particolare difficoltà di caratterizzazione e riproduzione dei farmaci biologici, al punto che alcune differenze possono sussistere tra diversi lotti di uno stesso prodotto, determina prescrizioni specifiche sulla caratterizzazione del controllo di qualità e sicurezza. Come specificato dall’AIFA, per la registrazione di tali farmaci “oltre agli esami fisico-chimico-biologici e la descrizione dettagliata del processo di produzione”, sono infatti richieste “anche informazioni sul potenziale immunogenico e sui problemi di sicurezza che da questo possono derivare” .
Pertanto, la documentazione necessaria per l’AIC di un prodotto biosimilare differisce da quella richiesta con riferimento ai farmaci equivalenti, per i quali, oltre ai dati completi sulla qualità del prodotto, è generalmente sufficiente presentare i risultati degli studi di bioequivalenza .
In particolare, si richiede che il programma di ricerca e sviluppo dimostri “la ‘biosimilarità’ intesa come la comparabilità tra il biosimilare ed il suo prodotto di riferimento, attraverso ‘l’esercizio di comparabilità’, ovvero l’insieme di una serie di procedure di confronto graduale (stepwise) che inizia con gli studi di qualità (comparabilità fisico-chimiche e biologiche) e prosegue con la valutazione della comparabilità non-clinica (studi non clinici comparativi) e clinica (studi clinici comparativi) per la valutazione dell’efficacia e della sicurezza. Tali studi includono la valutazione dell’immunogenicità sia in fase pre-clinica che clinica. L’obiettivo primario dell’esercizio di comparabilità è la dimostrazione della similarità (similarity throughout), attraverso studi disegnati in modo tale da individuare le eventuali differenze di qualità tra il biosimilare e il prodotto di riferimento e assicurare che queste non si traducano in differenze cliniche rilevanti in termini di sicurezza ed efficacia tra i due prodotti” .
Il farmaco biosimilare viene approvato quando è stato dimostrato che la variabilità naturale ed eventuali differenze rispetto al medicinale di riferimento non influiscono sulla sicurezza o sull’efficacia” .

V. I termini del bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco.

Da quanto esposto finora si comprendono le ragioni per cui le particolari caratteristiche dei farmaci biologici abbiano comportato una tutela rafforzata, rispetto ai farmaci tradizionali, del diritto alla salute dei pazienti e della libertà prescrizionale del medico, nel loro bilanciamento con il principio dell’economicità della spesa amministrativa.
Nonostante, infatti, il contenimento della spesa pubblica rivesta particolare importanza nel settore farmaceutico – producendo effetti benefici non solo nella prospettiva della sostenibilità della spesa sanitaria, ma anche sotto il profilo della possibilità di erogare un maggiore volume di assistenza a parità di spesa – le caratteristiche dei farmaci in questione si riflettono sul loro impiego, imponendo la necessità di salvaguardare la qualità ed appropriatezza degli acquisti pubblici, rispetto all’atteggiarsi dei bisogni da soddisfare . I farmaci biosimilari, come si è detto, non figurano infatti nelle liste di trasparenza di AIFA (le quali, come si ricorderà, indicano i casi di sostituibilità automatica tra originator e farmaco generico).
In particolare, ne discende che tanto i pazienti originariamente trattati con il biologico di riferimento, quanto coloro che siano stati sottoposti dall’inizio a terapia mediante biosimilare, debbano generalmente seguitare ad essere trattati con lo stesso farmaco per tutta la costanza del trattamento.
Ciò può determinare la necessità di riservare una quota di spesa pubblica a favore dei pazienti che necessitino del farmaco risultato più costoso all’esito della procedura di gara, circostanza che può verificarsi anche con riferimento ai pazienti naive, purché in presenza di motivata prescrizione del medico.
Un’ulteriore contrapposizione che viene in essere nel campo dei farmaci biosimilari è quella tra la libertà prescrizionale dei medici e la libertà di impresa delle imprese farmaceutiche. Il problema è stato posto da alcuni commentatori nei seguenti termini: “se siano i medici a dover utilizzare i farmaci approvvigionati dai buyers pubblici o se viceversa siano questi ultimi a dover approvvigionare i prodotti richiesti dai medici” .
La questione è di non poco momento. Se si optasse per una tutela incondizionata per la libertà prescrizionale dei medici, ne deriverebbe infatti il rischio di una sistematica impraticabilità di una reale gara per l’acquisto dei farmaci biosimilari. Così come già accade con riferimento ai farmaci coperti da brevetto, i farmaci verrebbero in tal modo acquistati tramite procedure negoziate dirette per l’unicità del fornitore, ovvero attraverso “gare solo ‘apparenti’, realizzate tramite l’inserimento di ciascun farmaco in un distinto lotto, nel quale il rispettivo produttore si troverebbe ad essere l’unico potenziale offerente” .

VI. La posizione della giurisprudenza.

A fronte della contrapposizione fra i suesposti principi, la giurisprudenza ha inteso operare un equilibrato bilanciamento tra la tutela della salute dei pazienti, che impone l’esigenza di tenere nella dovuta considerazione i profili di differenziazione tra farmaci biologici e biosimilari, e l’obiettivo di rafforzare la concorrenza nel mercato farmaceutico, in un contesto caratterizzato dalla limitatezza delle risorse finanziarie pubbliche .
Così, ad esempio, in un arresto del 2016, il Consiglio di Stato ha stabilito come sia legittimo perseguire con le gare un “adeguato punto di equilibrio tra tutela della concorrenza e nel contempo dell’interesse pubblico ad approvvigionarsi di farmaci contenenti un dato principio attivo al miglior prezzo disponibile, e la tutela del diritto alla salute, declinato nella garanzia della continuità terapeutica e della possibilità di accedere comunque ai farmaci dimostratisi i più adatti” .
Nella stessa decisione, i Giudici di Palazzo Spada specificano tuttavia come sia necessaria la “previsione della possibilità di rifornirsi extra gara di eventuali farmaci diversi da quelli forniti dall’aggiudicatario di ogni lotto, stabilendo che i partecipanti al SDA ed alle gare [siano] vincolati al prezzo offerto per gli acquisiti extra gara necessari per sopperire a tali speciali esigenze” .
Allo stesso tempo, in una recente sentenza il TAR Toscana ha stabilito che “risulta illegittima, con riferimento ai farmaci biologici, la previsione di un meccanismo autorizzatorio che àncora l’acquisto in deroga di farmaco biologico non aggiudicato, non già alla valutazione medica di appropriatezza di cura e di garanzia della continuità terapeutica, bensì esclusivamente a valutazione di carattere economico” .
La rilevanza della libertà prescrittiva del medico era già stata ribadita dal Giudice Amministrativo della regione Toscana in una decisione del 2017, nella quale si enunciava come “I biosimilari, per i quali non è possibile formulare in giudizio scientifico di piena equivalenza, non possono essere inseriti nelle liste di trasparenza, dovendo essere il medico specialista prescrittore, in quanto responsabile ultimo della salute del paziente, a stabilire caso per caso quale sia la scelta terapeutica più efficace” .
Si segnala infine come, prima della riforma operata con la Legge di Bilancio 2017 – la quale, come riferito supra, § III, ha esplicitamente sancito l’impossibilità di porre in gara nel medesimo lotto farmaci basati su princìpi attivi differenti, anche se aventi le stesse indicazioni terapeutiche – alcuni commentatori considerassero applicabile ai farmaci biologici il principio, enunciato dalla giurisprudenza amministrativa con riferimento ai farmaci equivalenti, che considera di per sé non antigiuridici i provvedimenti amministrativi basati sulla ritenuta equivalenza terapeutica fra medicinali contenenti diversi principi attivi, purché essi fossero assunti sulla base di specifiche valutazioni in tal senso da parte di AIFA, titolare esclusiva, ai sensi dell’art 15 comma 11 del D.L. n. 95 del 2012, in virtù dell’esigenza di uniformità a livello nazionale, del potere di stabilire l’equivalenza terapeutica . Tale interpretazione, a fronte dell’intervento chiarificatore del legislatore, deve pertanto ritenersi superata.

Dott.ssa Valentina Di Marco

(con la supervisione dell’Avv. Luciano Barbuto)

Per la redazione dell’articolo sono stati utilizzati i seguenti materiali:

  • Second Position Paper AIFA sui Farmaci Biosimilari”, p. 6, disponibile al seguente link http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/2_Position-Paper-AIFA-Farmaci-Biosimilari.pdf.
  • Camera dei Deputati, Temi dell’attività parlamentare della XVII legislatura, “I farmaci biologici e biosimilari”, disponibile al link https://temi.camera.it/leg17/post/i_farmaci_biotecnologici.
  • G. Taccogna, Le procedure di gara per l’acquisto dei farmaci biologici e biosimilari da parte del Servizio Sanitario nazionale, in Urbanistica e appalti, n. 5, 2017, p 630.
  • T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent. 21 marzo 2019, n. 400.
  •  M. E. Mauro, I biosimilari tra profili brevettuali e regolatori, in Il diritto industriale, n. 2, 2016, p. 2.
  • Camera dei Deputati, cit., che cita Doc. Ref. EMEA/74562/2006 Rev1, disponibile al link https://www.ema.europa.eu/en/documents/presentation/presentation-session-identification-traceability-biological-products_en.pdf.
  • Karson KL., “Nature Biotecnol”, 2005.
  • Questions and Answers on biosimilar medicines”, EMA/837805/2011 del 27 settembre 2012.
  •  F. Massimino, Farmaci biologici e biosimilari e tutela della salute e della concorrenza, in Il diritto industriale, n. 4, 2012, p 328.
  • Cons. Stato, Sez. III, Sent. 5 dicembre 2016, n. 5113.
  • T.A.R. Toscana Firenze, Sez. II, Sent. 21 marzo 2019, n. 400.
  • T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, Sent. 29 novembre 2017, n. 1473.
  • Cons Stato Sez III, Sent. 10 agosto 2016, n 3565.

Il diritto di accesso alle cure farmacologiche del paziente portatore di una malattia rara o rarissima: la questione della rimborsabilità dei cd “farmaci orfani” da parte del SSN.

È pacifico che il diritto alla salute ed il diritto di accesso alle cure farmacologiche, ad esso propedeutico, appartenga alla categoria dei diritti fondamentali dell’individuo.

A questa affermazione di principio occorre tuttavia apportare una precisazione terminologica: mentre il diritto alla salute in senso lato è un diritto umano[i], ed in quanto tale è richiamato dall’art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, dall’art. 2 CEDU (“Diritto alla vita”), dall’art. 6 del Patto Internazionale per i Diritti Civili e Politici[ii], nonché dell’art. 32 della Costituzione italiana, che garantisce cure gratuite agli indigenti, il secondo appartiene per sua natura alla categoria dei cd diritti sociali, ovverosia quei diritti che, sebbene riconosciuti a titolo formale in capo al cittadino, dipendono nella loro concreta affermazione dalle risorse finanziarie pubbliche disponibili[iii], nel caso di specie da quelle a disposizione del Servizio Sanitario Nazionale.

Un problema particolare è rappresentato dal diritto di accesso alle terapie a base di farmaci cd “orfani”, ovverosia quei farmaci destinati alla cura di malattie rare o rarissime.

Con il termine farmaco “orfano” siintendono infatti quei prodotti medicinali che, “essendo destinati al trattamento di malattie rare, rischiano di restare ‘orfani’ di un produttore, non avendo le imprese farmaceutiche un incentivo economico sufficiente a svilupparli in ragione della ristretta platea di consumatori interessati[iv]. Di seguito verranno analizzati due ordini di considerazioni in relazione a tale fattispecie: il primo, di natura macroeconomico, interessa i meccanismi di determinazione dei prezzi di tali medicinali da parte delle imprese farmaceutiche e la conseguente sostenibilità delle spese per il rimborso degli stessi da parte dei SSN; il secondo, di ordine normativo/regolamentare, interessa l’individuazione dei criteri per l’accesso, da parte del cittadino italiano, alla terapia rimborsata da parte del SSN.

1.L’esclusiva di mercato a favore delle imprese produttrici di farmaci orfani.

In primo luogo occorre dunque analizzare, da un punto di vista macroeconomico, la sostenibilità da parte del SSN dei prezzi applicati dalle imprese farmacologiche a tali medicinali.

Infatti, dati gli elevati costi di ricerca e sviluppo per la produzione delle suddette categorie di farmaci a fronte di un basso livello della domanda per tali prodotti (l’art. 3, comma 1, lett (a) del Regolamento (CE) n. 141/2000 definisce infatti farmaci orfani quelli “destinat[i] alla diagnosi, alla profilassi o alla terapia di una affezione che comporta una minaccia per la vita o la debilitazione cronica e che colpisce non più di cinque individui su diecimila nella Comunità”, ovvero quelli che è poco probabile siano in grado di produrre, in mancanza di incentivi, una commercializzazione all’interno della Comunità tanto redditizia da giustificare l’investimento necessario[v]), non sussisterebbero sufficienti incentivi di natura economica per la loro commercializzazione da parte delle imprese farmaceutiche laddove questa fosse affidata ad una pura logica di mercato, con la conseguenza che i cittadini affetti da tali patologie resterebbero privi di cure.

Per questo motivo il Regolamento (CE) n. 141/2000 ha inserito un incentivo economico “artificiale” per le imprese che si prendano carico della produzione di tali farmaci, le quali, ai sensi e per gli effetti dell’art. 8, possono beneficiare di un’esclusiva di mercato di durata decennale all’interno del mercato unico europeo nella produzione e commercializzazione di medicinali orfani. La norma, che persegue l’obiettivo, di interesse pubblico, di porre rimedio al vulnus del diritto alla salute dei gruppi di cittadini portatori di patologie rare o rarissime, è però suscettibile di avere effetti devianti per quanto riguarda i meccanismi di determinazione dei prezzi dei relativi medicinali. L’esperienza empirica ha infatti dimostrato come tale esclusiva consenta alle imprese farmaceutiche di praticare prezzi “non equi”, ovverosia più alti rispetto a quelli dei farmaci comuni, circostanza che ha suscitato in parte della dottrina il sospetto che tali condotte integrino gli estremi dell’abuso di posizione dominante, sottoforma di applicazione di prezzi “eccessivi” ex art. 102, lett. a, TFUE[vi]. L’esclusiva di mercato, necessaria per i motivi di cui sopra, rischia pertanto di rendere i prezzi di tali medicinali non sostenibili da parte dei SSN[vii], anche alla luce del fatto che l’acquisto di questi farmaci da parte del SSN avviene senza negoziazione, e consente quindi l’imposizione del prezzo da parte dell’impresa produttrice che può essere molto elevato per il carattere di asserita innovatività[viii].

2. Rimedi in caso di condotta anticoncorrenziale da parte dell’impresa produttrice di farmaci orfani.

L’ordinamento giuridico permette di prestare due ordini di rimedi nell’ipotesi di condotte anticoncorrenziali da parte dell’impresa farmaceutica produttrice di un farmaco orfano.

Dal punto di vista del diritto della concorrenza, è possibile un intervento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la quale ha la duplice prerogativa di imporre direttamente la riduzione del prezzo e di irrogare una sanzione pecuniaria in caso di riscontrata violazione del divieto di abuso di posizione dominante. Emblematico in tal senso è il noto caso italiano Avastin-Lucentis, conclusosi con l’emanazione di un provvedimento da parte dell’AGCM (AGCM, Roche Novartis/Farmaci Avastin e Lucentis, provv. n. 24823 del 27 febbraio 2014, in Boll. n. 11, 2014), con il quale l’Autorità ha riscontrato la violazione, da parte delle case farmaceutiche F.Hoffmann-La Roche Ltd., GenentechInc., Novartis AG, Novartis Farma S.p.A. e Roche S.p.A. dell’art. 101 TFUE per aver posto in essere una concertazione anticoncorrenziale relativa alla vendita in Italia dei medicinali Avastin e Lucentis destinati alla cura di rare patologie oculari;

Da un punto di vista civilistico è invece possibile promuovere un’azione di responsabilità civile da parte del SSN allo scopo di rimediare i danni patrimoniali sofferti in ragione dei prezzi eccessivi di tali farmaci rimborsati con risorse finanziarie pubbliche[ix]. Ad esempio, nel succitato caso Avastin-Lucentis, l’AGCM ha stimato in 1,2 miliardi di euro il danno prodotto a carico del SSN sottoforma di aumento della spesa derivata dalla sanzionata intesa restrittiva della concorrenza.

3. Diritto di accesso alle terapie per la cura di malattie rare: la questione della rimborsabilità del farmaco orfano e dell’uso off-label dei medicinali.

Per quanto riguarda invece la dimensione domestica, occorre operare una rapida disamina del quadro normativo italiano relativo all’individuazione dei criteri che rendono il cittadino elegibile ad una terapia rimborsata da parte del SSN. In linea di prima approssimazione, nell’ordinamento italiano sono a carico del SSN i medicinali ritenuti essenziali per assicurare le cure previste nei Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria (Lea), consultabili sul sito dell’AIFA all’elenco dei medicinali di fascia A e H.

Per quanto riguarda invece i cittadini portatori di determinate patologie per le quali non esista valida alternativa terapeutica, ai sensi dell’art. 1 comma 4 della legge n 648/1996sono erogabili a totale carico del SSN:

  • I medicinali innovativi la cui commercializzazione è autorizzata in altri Stati ma non sul territorio nazionale
  • I medicinali non ancora autorizzati ma sottoposti a sperimentazione clinica
  • I medicinali da impiegare per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata (cd uso “off-label”di un farmaco, vale a dire l’impiego di un farmaco già registrato ma utilizzato in maniera non conforme, per patologia, popolazione o posologia, a quanto previsto dalle indicazioni e dalle caratteristiche del prodotto autorizzato[x]).

Tali farmaci sono inseriti in apposito elenco (Lista 648[xi]) predisposto e periodicamente aggiornato dalla Commissione unica del farmaco (ora Commissione consultiva Tecnico Scientifica dell’AIFA – CTS) conformemente alle procedure ed ai criteri adottati dalla stessa. Vi si può fare ricorso solo a fronte di forti evidenze scientifiche e in presenza di processi autorizzativi a livello europeo e nazionale[xii].

Infatti, sia a livello comunitario che domestico vige il principio generale secondo cui nella prescrizione di un farmaco il medico deve attenersi alle modalità di somministrazione che sono state valutate nella fase di sperimentazione del medicinale. Tale è il disposto dell’art. 6 del cd “Codice dei medicinali” europeo, la Direttiva n. 2001/83/UE, che sancisce che “[n]essun medicinale può essere immesso in commercio in uno Stato membro senza un’autorizzazione all’immissione in commercio delle autorità competenti di detto Stato membro”. Similmente, nel sistema domestico, l’art. 3, comma 1, del D.L. n. 23 del 1998, convertito con L. n. 94/1998 (cd. Legge Di Bella) sancisce che “il medico, nel prescrivere una specialità medicinale o altro medicinale prodotto industrialmente, si attiene alle indicazioni terapeutiche, alle vie e alle modalità di somministrazione previste dall’autorizzazione all’immissione in commercio rilasciata dal Ministero della sanita”.

In entrambi i casi è prevista una deroga che consente l’uso off-label del farmaco al ricorrere di determinate condizioni: l’art. 5 della Direttiva n. 2001/83/UEdispone infatti che “Uno stato membro può, conformemente alla legislazione in vigore e per rispondere ad esigenze speciali, escludere dal campo di applicazione della presente direttiva i medicinali forniti per rispondere ad un’ordinazione leale e non sollecitata, elaborati conformemente alle prescrizioni di un medico autorizzato e destinati ai suoi malati sotto la sua personale e diretta responsabilità”: in altre parole, è consentito l’uso off-label dei farmaci a condizione che sussistano speciali esigenze di natura medica e non vi siano farmaci già autorizzati per la medesima indicazione[xiii], e che sia il medico ad assumersi personalmente e direttamente la responsabilità della terapia. Anche l’art. 3, comma 2 del D.L. n. 23 del 1998 convertito dalla L. n. 94 del 1998 permette un uso del farmaco per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata, sancendo che “in singoli casi il medico può, sotto la sua diretta responsabilità e previa informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso, impiegare un medicinale prodotto industrialmente per un’indicazione o una via di somministrazione o una modalità di somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata, ovvero riconosciuta agli effetti dell’applicazione dell’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 21 ottobre 1996, n. 536, convertito dalla legge 23 dicembre 1996, n. 648, qualora il medico stesso ritenga, in base a dati documentabili,che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali per i quali sia già approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalità di somministrazione e purché tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale.”

Il legislatore è successivamente intervenuto a precisare tale disposto: con l’art. 1, comma 796, lett. (z) della legge finanziaria 2007 (L. n. 296 del 2006) si precisa che “la disposizione di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto-legge 17 febbraio 1998, n. 23, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 1998, n. 94, non è applicabile al ricorso a terapie farmacologiche a carico del Servizio sanitario nazionale, che, nell’ambito dei presidi ospedalieri o di altre strutture e interventi sanitari, assuma carattere diffuso e sistematico e si configuri, al di fuori delle condizioni di autorizzazione all’immissione in commercio, quale alternativa terapeutica rivolta a pazienti portatori di patologie per le quali risultino autorizzati farmaci recanti specifica indicazione al trattamento. Il ricorso a tali terapie è consentito solo nell’ambito delle sperimentazioni cliniche dei medicinali di cui al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 211, e successive modificazioni. In caso di ricorso improprio si applicano le disposizioni di cui all’articolo 3, commi 4 e 5, del citato decreto-legge 17 febbraio 1998, n. 23, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 1998, n. 9”.

Con l’art. 2, comma 348 della legge finanziaria 2008 (L. n. 244 del 2007) si specifica altresì che in nessun caso, inclusa l’ipotesi di impiego off-labeldel farmaco, è possibile per il medico prescrivere un medicinale per il trattamento di una determinata patologia laddove sul proposto impiego del farmaco non siano disponibili almeno dati favorevoli di sperimentazioni cliniche di fase II. Infine, con l’art. 3 del D.L. n. 36 del 2014si inseriscono i commi da 4-bis a 4-quarter al testo del succitato D.L. n 536 del 1996, convertito con L. n. 648 del 1996: in particolare, il nuovo art. 4-­bisdispone che, nel caso in cui l’Autorizzazione all’immissione in commercio di un medicinale non comprenda un’indicazione terapeutica per la quale si ravvisi un motivato interesse pubblico all’utilizzo, l’AIFA ha la facoltà di procedere alla registrazione dell’indicazione terapeutica off-label, nei limiti della disponibilità del Fondo, a valere sulla parte destinata sull’uso dei farmaci, ed in particolare sulle sperimentazioni cliniche comparative tra farmaci rispetto ai valori terapeutici aggiunti[xiv].

Nel sistema normativo così delineato si deduce quindi una certa linearità della catena decisionale tale per cui l’AIFA crea il diritto al rimborso del farmaco a livello centrale, mentre spetta al medico il compito di associare il bisogno del paziente ad un farmaco rimborsato[xv]. Questo contesto operativo è funzionale alla soddisfazione dei principi su cui si fonda il SSN, vale a dire i principi di universalità,uguaglianzaed equitànel diritto di accesso alle cure da parte dei cittadini elegibili, da cui deriva che i cittadini hanno diritto a che sia garantito uno stesso tenore di tutela su tutto il territorio nazionale. Tuttavia, è stato osservato come la rimborsabilità del farmaco decisa a livello centrale dall’AIFA non è sempre sufficiente a collegare bisogno del paziente e accesso alla terapia, e possono crearsi delle disparità a livello regionale[xvi].

Dott.ssa Valentina Di Marco

(con la supervisione dell’Avv. Luciano Barbuto)

 

Note

[i]La più comune definizione di diritti umani è quella data da John Tasioulas in The moral humanity of human rights, che li definisce come prerogative morali possedute da ogni individuo semplicemente in virtù della loro umanità.

[ii]Il quale si riferisce nello specifico al diritto alla vita. Tuttavia, la Commissione per i Diritti Umani dell’ONU ha specificato al §5 del General Comment 6, Article 6 (Right to Life), (16th Session, 1982), U.N. Doc. HRI/GEN/1/Rev.1 at 6 (1994)come il diritto alla vita non vada interpretato restrittivamente, e includa pertanto il dovere per gli Stati di compiere tutte le misure possibili per ridurre la mortalità infantile ed incrementare l’aspettativa di vita.

[iii]A. Barbera, C. Fusaro (a cura di), Corso di diritto costituzionale, Il Mulino, 2012, p 160.

[iv]A. Parziale, Il futuro dei farmaci orfani tra promozione della ricerca per la cura di malattie rare e i rischi di prezzi eccessivi: il ruolo del diritto della concorrenza,in Contratto e impresa, n. 4.5, 2016, p 1.

[v]Nell’ordinamento statunitense, che costituisce il modello storico di riferimento in materia, il farmaco orfano è invece definito dal par. 316.3 (b) (10) dell’Orphan Drug Actcome quello atto a curare una “malattia rara” ai sensi del par. 526 (2) dello stesso atto, ovvero ogni patologia o condizione la quale (a) colpisca meno di 200.000 persone negli Stati Uniti o (b) che pur colpendo più di 200.000 persone negli Stati Uniti non crei una ragionevole aspettativa che il costo di produzione e messa in commercio dei medicinali per la cura di tali patologie o condizioni sia recuperabile dalle vendite di tali medicinali negli Stati Uniti.

[vi]A. Parziale, cit. supra, nota 4, p 1.

[vii]A. Parziale, cit. supra, nota 4, p 1.

[viii]A. Scarcella, D.L. n. 36/2014 in materia di stupefacenti: i farmaci per la terapia del dolore e quelli “off Label”, in Quotidiano giuridico, 09 maggio 2014, p 3.

[ix]A. Parziale, cit. supra, nota 4, p 2.

[x]A. Scarcella, cit. supra, nota 8, p 2.

[xi]Disponibile al sito http://www.agenziafarmaco.gov.it/content/legge-64896

[xii]A. Scarcella, cit. supra, nota 8, p 2.

[xiii]A. Scarcella, cit. supra, nota 8, p 2.

[xiv]A. Scarcella, cit. supra, nota 8, p 3.

[xv]P. Armeni, cit. supra, nota 16

[xvi]Per un’analisi più approfondita del sistema di erogazione del rimborso dei farmaci a base regionale si veda P. Armeni, Farmaci e rimborsabilità debole: i legami mancanti per una tutela equa del diritto alle terapie, in Il Sole 24 ore, 25 ottobre 2018.

[xvii]Si veda, ex plurimis, sent. Cass. SS.UU., n. 13533 del 30/10/2001.

[xviii]Si veda, ex plurimis, sent. Cass. SS.UU., n. 26972 del 11/11/2008.

Farmaci equivalenti e appropriatezza prescrittiva: tutela del diritto alla sicurezza delle cure nell’ottica del contenimento della spesa pubblica.

Con l’art. 1 della legge Gelli (Legge n. 24 del 2017) il Parlamento italiano ha alquanto opportunamente dato dignità costituzionale al diritto alla sicurezza delle cure, specificando ed ampliando il contenuto del diritto alla salute ai sensi dell’art. 32 Cost., disponendo che “[l]a sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività”.
Questa affermazione, che in un senso costituisce la premessa programmatica della stessa legge, si confronta tuttavia con il tema della sostenibilità economica della spesa farmaceutica e della disponibilità di risorse in bilancio da parte del Servizio Sanitario Nazionale, che impone un bilanciamento tra l’obiettivo del contenimento della spesa pubblica e la necessità di tutelare i Livelli Essenziali di Assistenza da parte dello Stato.
Uno degli strumenti che l’ordinamento adotta per favorire la razionalizzazione della spesa pubblica farmaceutica è costituito dall’equivalenza terapeutica, la quale consiste nell’obbligo per il medico di prescrivere i farmaci indicando il solo principio attivo atto alla cura della patologia del paziente. Il D.L. n. 95 del 2012(convertito con L. n. 135 del 2012), recante “Disposizioni urgenti per l’equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica”, dispone infatti all’art 15, comma 11-bis che“[i]l medico che curi un paziente, per la prima volta, per una patologia cronica, ovvero per un nuovo episodio di patologia non cronica, per il cui trattamento sono disponibili più medicinali equivalenti, è tenuto ad indicare nella ricetta del Servizio sanitario nazionale la sola denominazione del principio attivo contenuto nel farmaco”. In altre parole, il SSN garantisce la rimborsabilità del farmaco per una determinata patologia o di un farmaco equivalente, vale a dire di un medicinale basato sullo stesso principio attivo. Al fine di consentire la prescrizione per principio attivo, l’AIFA rende disponibili le tabelle contenenti l’elenco dei farmaci di fascia A e H, ordinati rispettivamente per principio attivo e per nome commerciale.
Come si dirà infra, tale vincolo ha sollevato due principali perplessità nell’opinione pubblica, vale a dire: (1) se in qualche modo l’equivalenza terapeutica possa screditare il diritto alla sicurezza delle cure, garantendo al cittadino la rimborsabilità di farmaci di qualità, sicurezza ed efficacia deteriori rispetto al farmaco di riferimento; e (2) se essa sia suscettibile di impattare sulla libertà prescrittiva “in scienza e coscienza” del medico ai sensi dell’art. 12 del Codice di deontologia medica[i].

Quanto al primo punto, come lamenta l’AIFA nella sua guida sui medicinali equivalenti, spesso nell’opinione pubblica (inclusi medici e farmacisti, ancor prima dei pazienti) si ha la percezione che il risparmio garantito dal medicinale equivalente (il quale ha un prezzo inferiore di almeno il 20% rispetto a quello del farmaco di riferimento[ii]) derivi da una inferiore qualità, sicurezza ed efficacia del prodotto rispetto al medicinale di riferimento[iii]. Tuttavia, come si dirà infra, tale differenza di prezzo non deriva, come potrebbe desumersi ad una lettura prima facie e superficiale, da una scarsa qualità del prodotto, quanto dalla scadenza del brevetto del principio attivo (di durata generalmente decennale) a favore dell’Azienda farmaceutica sviluppatrice del farmaco di riferimento. Pertanto il risparmio da essi garantito non va letto con sospetto, quanto come una risorsa atta a garantire un contenimento della spesa pubblica a beneficio della copertura di un più ampio bacino di utenza per l’accesso alle cure farmacologiche rimborsate dallo Stato. Come spiega il Direttore Generale dell’AIFA, Luca Piani, nella Prefazione alla guida sui medicinali equivalenti, l’equivalenza terapeutica va dunque vista come un’opportunità per “liberare risorse economiche da investire nell’ingresso dei nuovi medicinali salvavita (biologici, biotecnologici, terapie avanzate), destinati ad eradicare patologie ad oggi incurabili”. Inoltre, come si dirà infra, l’ordinamento predispone numerose salvaguardie a tutela dei requisiti di qualità, sicurezza ed efficacia, che ogni farmaco deve possedere affinché l’AIFA possa concedere l’Autorizzazione di Immissione in Commercio[iv].

Quanto al secondo punto, la normativa è chiara nel sottolineare come la disciplina dell’equivalenza terapeutica non sia suscettibile di inficiare la libertà prescrittiva del medico:lo stesso comma 11-bis  dell’art. 15, D.L. n. 95 del 2012, dispone infatti che il medico ha facoltà di inserire nella prescrizione la denominazione di uno specifico medicinale a base dello stesso principio attivo: “tale indicazione è vincolante per il farmacista ove in essa sia inserita, corredata obbligatoriamente di una sintetica motivazione, la clausola di non sostituibilità di cui all’articolo 11, comma 12, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Lo stesso principio viene ribadito, in relazione all’equivalenza terapeutica “impropria” (infra, § I.i) nella Determina AIFA n. 818 del 2018, la quale sottolinea come sia garantita, comunque, “la libertà prescrittiva del singolo medico in quanto quest’ultimo potrà individuare aree di utilizzo specifico dei singoli principi attivi all’interno della classe di farmaci coinvolti nell’equivalenza terapeutica”.
Di seguito verrà operata una rapida disamina della normativa italiana relativa ai farmaci equivalenti, tentando di sviluppare queste due intuizioni di partenza attraverso l’analisi della definizione normativa di equivalenza terapeutica, delle principali differenze tra i farmaci equivalenti e i farmaci di riferimento, ed infine prospettando i possibili rimedi che l’ordinamento giuridico predispone a tutela del cittadino danneggiato dall’uso improprio di un farmaco equivalente.

1. Definizione normativa del farmaco equivalente.
I farmaci equivalenti vengono introdotti per la prima volta nell’ordinamento italiano dall’art. 3, comma 130, della L. n. 549 del 1995(sostituito dall’art 1, comma 3, del D.L. n. 323 del 1996, convertito con L. n 425 del 1996), recante “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”, che prevede la possibilità per il Ministro della Sanità (ora AIFA) di autorizzare, su domanda, l’immissione in commercio di farmaci generici.
La dicitura farmaco generico viene sostituita dal D.L. n. 87 del 2005(convertito con L. 149 del 2005), art. 1bis comma 1, in farmaco equivalente. Nella sua guida sui medicinali equivalenti l’AIFA spiega come la dicitura farmaco “generico”, traduzione letterale della definizione “generic medical product” adottata nella Direttiva 2001/83, risultasse fuorviante alla luce della constatazione che l’attributo “generico” veniva frequentemente percepito dall’opinione pubblica come un rimedio non dotato di sufficiente specificità per una certa indicazione, o come un prodotto di qualità inferiore ai medicinali di riferimento[v](meglio noti come medicinali “di marca” , “griffati” o “brand”[vi]).
Successivamente, i farmaci equivalenti vengono definiti dall’art. 7 comma 1 del D.L. n. 347 del 2001(convertito con L. n. 405 del 2001) come “i medicinali non coperti da brevetto aventi uguale composizione in principi attivi, nonché forma farmaceutica,  via di somministrazione, modalità di rilascio, numero di unità posologiche e dosi unitarie uguali”.
Infine, il farmaco equivalente riceve compiuta disciplina nel D.lgs. n. 219 del 2006, di recepimento nell’ordinamento italiano della Direttiva n. 2001/83/UE(cd “Codice dei medicinali” europeo), il quale definisce il medicinale equivalente all’art. 10, comma 5, lett. b), come “un medicinale che ha la stessa composizione qualitativa e quantitativa di sostanze attive e la stessa forma farmaceutica del medicinale di riferimento nonché una bioequivalenza con il medicinale di riferimento dimostrata da studi appropriati di biodisponibilità”.
Come specifica il Consiglio di Stato in una Sentenza del 2017[vii], lo studio di bioequivalenza “consiste in una sperimentazione condotta su volontari sani che dimostri che il medicinale generico ha una biodisponibilità (ossia una quantità di principio attivo assorbita nel sangue) sovrapponibile a quella del medicinale di riferimento già autorizzato (originatore). Tale dimostrazione permette di concludere che il generico e il suo originatore hanno lo stesso profilo di efficacia e sicurezza. Lo studio di bioequivalenza è, pertanto, una dimostrazione surrogata di equivalenza terapeutica tra il generico e il medicinale di riferimento”[viii].

1.2 Equivalenza terapeutica “propria” e “impropria”.
La normativa generale nazionale dispone dunque che, per potersi parlare di equivalenza terapeutica in senso tecnico tra due farmaci, occorre che sia dimostrato che questi abbiano uguale composizione qualitativa e quantitativa del principio attivo (con possibilità di variazione nella composizione in eccipienti, si veda infra, § II.iii), nonché una bioequivalenza[ix]tra gli stessi (art. 10, D.lgs. n. 219 del 2006). Tuttavia, occorre segnalare che la dicitura farmaco equivalente viene utilizzata, in senso improprio, anche per riferirsi alla possibilità per le regioni di mettere a gara in un unico lotto funzionale farmaci basati su principi attivi diversi, purché aventi le stesse indicazioni terapeutiche e purché tale equivalenza sia riconosciuta in base a “motivate e documentate valutazioni espresse dall’Agenzia italiana del farmaco”[x]. L’art 15 comma 11 ter del D.L. 95 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 135 del 2012, dispone infatti che le regioni possono fare richiesta di equivalenza terapeutica all’AIFA per farmaci basati su principi attivi diversi, seguendo la procedura stabilita dalla Determina AIFA n. 818 del 2018. In tale determina l’AIFA spiega che “La valutazione dell’equivalenza terapeutica costituisce un metodo attraverso cui è possibile confrontare medicinali contenenti principi attivi diversi al fine di identificare, per le stesse indicazioni, aree di sovrapponibilità terapeutica nelle quali non siano rinvenibili, alla luce delle conoscenze scientifiche, differenze cliniche rilevanti in termini di efficacia e sicurezza”. La determina prosegue spiegando che l’obiettivo di questa disciplina è di definire i criteri da utilizzare per stabilire l’equivalenza terapeutica ai fini dell’acquisto di farmaci in concorrenza da parte delle regioni.
Tuttavia, con una sentenza del 2017[xi]il Consiglio di Stato ha chiarificato come l’equivalenza in senso tecnico si riferisca solo ai medicinali equivalenti ex art. 10 del D.lgs. n. 219 del 2006, ovverosia, come detto, quelli aventi la stessa composizione qualitativa e quantitativa di sostanze attive, la stessa forma farmaceutica nonché dimostrata bioequivalenza[xii]. In base a tale giurisprudenza deve dunque ritenersi che, laddove si parli di equivalenza in relazione a farmaci basati su principi attivi differenti, sebbene siano rinvenibili aree di sovrapponibilità terapeutica tra i relativi medicinali, il termine “equivalente” è usato solo in senso improprio.

2. Differenze sostanziali tra farmaco equivalente e farmaco di riferimento.

2.1 Qualità, sicurezza e efficacia.
Come specifica l’AIFA, “[l]a qualità, la sicurezza e l’efficacia sono i tre prerequisiti che qualsiasi medicinale deve possedere per ottenere una Autorizzazione all’Immissione in Commercio, a prescindere che si tratti di un medicinale innovativo, un medicinale di marca o un medicinale equivalente[xiii]”. L’art 6 comma 1 del D.lgs. n. 219 del 2006dispone infatti che “Nessun medicinale può essere immesso in commercio sul territorio nazionale senza aver ottenuto un’autorizzazione dell’AIFA o un’autorizzazione comunitaria a norma del regolamento (CE) n. 726/2004”.
A tal fine, l’azienda farmaceutica richiedente deve presentare una domanda di autorizzazione ai sensi dell’art. 8 del D.lgs. n. 219 del 2006. Come si dirà infra, §II.ii, per la richiesta di AIC di un farmaco equivalente è prevista una procedura semplificata. Ad ogni buon conto, ogni azienda farmaceutica, inclusa quella produttrice di un farmaco equivalente, è tenuta a presentare un dossier di registrazione (valutato, in base al tipo di procedura, dagli Uffici e dagli Esperti della Commissione Tecnico Scientifica Nazionale (CTS) o dal Committee for Medicinal Products for Human Use (CHMP) dell’Agenzia Europea dei Medicinali) composto di tre sezioni dedicate, rispettivamente, alla qualità, sicurezza ed efficacia, a cui fa seguito il rilascio dell’AIC da parte del competente ufficio solo se risulta soddisfatta la verifica di conformità alla norma dei tre requisiti[xiv].
Tale conformità viene verificata adottando gli stessi criteri di valutazione utilizzati per il medicinale di riferimento. Pertanto, i medicinali equivalenti, così come quelli innovativi e di riferimento, vengono sottoposti a ispezioni nelle Officine di produzione dei principi attivi e del medicinale finito per valutarne la conformità alle Good Manifacturing Practices[xv],nonché all’attento controllo della documentazione presentata nel dossier di registrazione[xvi].
Giova sottolineare come, in relazione al requisito della sicurezza (che consiste nella prova che le sostanze di cui un medicinale è composto – in particolare il suo principio attivo –non siano dannose alle dosi che verranno impiegate nella pratica clinica)i medicinali equivalenti siano in grado di garantire un maggior rigore rispetto all’immissione in commercio di un farmaco innovativo. Questa circostanza deriva dal fatto che il farmaco equivalente viene prodotto alla scadenza della protezione brevettuale che l’ordinamento garantisce ai produttori di un farmaco innovativo al momento della loro immissione in commercio (infra, § II.iv). Da ciò deriva che il produttore del farmaco equivalente può usufruire dei dati che sono stati raccolti durante i numerosi anni di commercializzazione del medicinale di riferimento. “Per questo motivo, l’impiego clinico di un equivalente non è quasi mai associato all’insorgenza di reazioni avverse sconosciute, ma tende a riprodurre lo stesso profilo di sicurezza del medicinale originale, già noto e riportato dettagliatamente nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto e nel Foglio Illustrativo”[xvii].
I controlli da parte delle autorità regolatorie proseguono anche a seguito dell’immissione in commercio (cd. controlli “post-marketing”). Anche questo tipo di controllo riguarda tutti i medicinali in commercio, indipendentemente dalla circostanza che trattasi di medicinale equivalente o di riferimento[xviii]. Come spiega l’AIFA, i controlli post-marketing consistono in “controlli analitici, presso i laboratori dell’Istituto Superiore di Sanità, su medicinali prelevati dai NAS a campione tra quelli venduti in farmacia, al fine di verificare la conformità dei parametri di qualità farmaceutica riportati nel dossier di registrazione (depositato in AIFA)”[xix]. I controlli post-marketing possono essere effettuati tanto a seguito di segnalazioni di potenziali difetti quanto attraverso il Programma di Controllo Annuale.

2.2 Richiesta di AIC.
Una delle più sostanziali differenze tra il farmaco equivalente e quello di riferimento consiste nei requisiti previsti per fare domanda di AIC. L’art. 10 del D.lgs. n. 219 del 2006dispone infatti che i farmaci equivalenti sono soggetti a domande semplificate di AIC rispetto ai farmaci innovativi: difatti, se il richiedente può dimostrare che il medicinale per il quale fa richiesta di AIC è un medicinale equivalente di un medicinale di riferimento autorizzato a norma dell’art. 6 da almeno otto anni in Italia o nella Comunità europea, egli non è tenuto a fornire i risultati delle prove precliniche e delle sperimentazioni cliniche, in deroga al requisito previsto per i medicinali di riferimento dall’art. 8, comma 3, lett. l). Tale circostanza deriva dal fatto che il produttore del medicinale equivalente può beneficiare dei risultati delle prove precliniche e delle sperimentazioni cliniche raccolti dal produttore del farmaco di riferimento, essendo il suo prodotto basato sullo stesso principio attivo.
L’art. 10 comma 2 dispone inoltre che il medicinale equivalente non può essere immesso in commercio finché non sono trascorsi dieci anni dall’autorizzazione iniziale del medicinale di riferimento. Infine, ai sensi di quanto previsto dall’art. 10, comma 5, lettera b) del D.lgs. n. 219 del 2006, deve essere fornito, a supporto della richiesta di AIC per medicinali equivalenti, uno studio di bioequivalenza.

2.3 Composizione in eccipienti.
Come anticipato supra, § I.i, sebbene la composizione in principi attivi tra farmaco di riferimento e farmaco equivalente sia identica, è possibile una variazione nella composizione in eccipienti. Come spiega l’AIFA nelle linee guida sull’equivalenza terapeutica, “[g]li eccipienti sono sostanze inerti e non hanno proprietà terapeutiche, la loro funzione è quella di rendere somministrabile un principio attivo, la componente del medicinale che svolge azione terapeutica”[xx].
Giova segnalare come la variazione tra due medicinali equivalenti per la loro composizione in eccipienti può avere delle ripercussioni in determinate categorie di pazienti: ad esempio, la presenza di glucosio può avere ripercussioni su pazienti diabetici, quella di amido di grano su pazienti affetti da celiachia, quella di aspartame in pazienti affetti da fenilchetonuria. Questi aspetti vengono gestiti attraverso una corretta informazione sul Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP) e sul Foglio illustrativo, che rendono le variazioni in eccipienti conoscibili al paziente ed al medico.

2.4 Prezzo.
Come accennato supra, l’utilizzo di farmaci equivalenti garantisce un risparmio di almeno il 20% rispetto al prezzo del farmaco di riferimento. Tale differenza di prezzo va intesa “come diretta conseguenza della scadenza del brevetto del principio attivo del medicinale Innovativo”[xxi]: essa deriva infatti dalla mancanza di costi di ricerca perché l’efficacia del principio attivo per la cura di una determinata patologia è stata già dimostrata dall’uso del farmaco di riferimento.
In altre parole, nel momento in cui un’Azienda farmacologica immette in commercio un farmaco a base di un determinato principio attivo, le viene garantita una protezione brevettuale, di durata generalmente decennale, sulla formula del principio attivo stesso. Come specifica l’AIFA, tale protezione brevettuale costituisce una “tutela concessa all’Azienda per consentirle di rientrare nei costi degli investimenti fatti in ricerca e sviluppo”[xxii]. Come è stato osservato in dottrina, la garanzia di questo tipo di tutela riceve copertura costituzionale ex art. 9 della Costituzione italiana, secondo cui “[l]a repubblica promuove […] la ricerca scientifica e tecnica”[xxiii]. Infatti, “il brevetto svolge una funzione fondamentale nel promuovere l’innovazione, sulla base del rilievo che, se si vuole stimolare un soggetto a creare qualcosa di nuovo, occorre che il ritorno economico che il creatore si aspetta dallo sfruttamento della sua creazione sia superiore ai costi preventivati, e che l’unico strumento compatibile con un sistema economico di mercato per arrivare a questo risultato è appunto quello della concessione di un’esclusiva, ossia dell’istituzione dei diritti di proprietà intellettuale”[xxiv].
Pertanto, il motivo del prezzo inferiore del farmaco equivalente rispetto a quello di riferimento non è, come potrebbe risultare da una lettura prima facie e superficiale, una inferiore qualità del farmaco stesso (che anzi, come detto supra, §II.i, deve essere necessariamente equivalente a quella del farmaco di riferimento), ma appunto una diretta conseguenza della scadenza della protezione brevettuale a favore dell’Agenzia farmaceutica produttrice del farmaco di riferimento.
Data la pari efficacia e qualità del farmaco equivalente, l’art. 7 comma 1 della Legge n. 405 del 2001sancisce che i medicinali “sono rimborsati al farmacista dal Servizio sanitario nazionale fino alla concorrenza del prezzo più basso del corrispondente farmaco generico disponibile nel normale ciclo distributivo regionale, sulla base di apposite direttive definite dalla regione”.
Poiché però resta inalterata la libertà prescrittiva del medico, in quale, come detto supra, ha facoltà di prescrivere un medicinale “brand” per la cura di una determinata patologia in un paziente, in tale circostanza la copertura della spesa da parte del SSN arriva fino al prezzo massimo di riferimento, e la rimanente quota deve essere pagata dal paziente. L’art 7 comma 4della Legge n. 405 del 2001dispone infatti che “qualora il medico apponga sulla ricetta l’indicazione di cui al comma 2, con cui ritiene il farmaco prescritto insostituibile ovvero l’assistito non accetti la sostituzione proposta dal farmacista, ai sensi del comma 3, la differenza fra il prezzo più basso ed il prezzo del farmaco prescritto è a carico dell’assistito con l’eccezione dei pensionati di guerra titolari di pensioni vitalizie”.

3. Rimedi in caso di irregolarità nel farmaco equivalente.
Il Titolo XI del D.lgs. n. 219 del 2006, rubricato “Vigilanza e sanzioni”, prevede una serie di misure sanzionatorie, di natura penale ed amministrativa, in capo al produttore di un farmaco in caso di riscontrate irregolarità nella sua commercializzazione. È inoltre prospettabile una responsabilità civile con conseguente reintegrazione del danno sofferto dal paziente a seguito di somministrazione di farmaco difettoso.

3.1 Revoca e sospensione di AIC.
L’art. 141 del D.lgs. n. 219 del 2006dispone che l’AIC di un medicinale può essere revocata(con conseguente ritiro definitivo dal commercio del medicinale) nel caso in cui, a motivato giudizio dell’AIFA, “a) il medicinale è nocivo nelle normali condizioni di impiego; b) il medicinale non permette di ottenere l’effetto terapeutico o l’effetto per il quale è stato autorizzato; c) il rapporto rischio/beneficio non è favorevole nelle normali condizioni d’impiego; d) il medicinale non ha la composizione qualitativa e quantitativa dichiarata”. Con particolare riferimento ai medicinali equivalenti è altresì possibile, a norma del comma 3 dell’art. 141, revocare l’autorizzazione nel caso in cui si riscontri che le informazioni presenti nel fascicolo a norma dell’articolo 10 sono errate. Come precisa il Consiglio di Stato in una sentenza del 2017, infatti,“qualora lo studio di bioequivalenza non sia stato condotto in accordo con i principi e le linee guida delle norme di buona pratica clinica (Good Clinical Practice – GCP) fissati dalla normativa Europea, la dimostrazione di efficacia e sicurezza del medicinale generico perde la sua tenuta scientifica, sicché, giusto quanto disposto dall’art.141, comma 3, del D.Lgs. n. 219 del 2006, può essere disposta la revoca dell’AIC”.”[xxv]. La revoca di AIC costituisce un provvedimento amministrativo, ed in quanto tale è impugnabile dinanzi al giudice amministrativo da parte dell’agenzia farmaceutica che si ritenesse lesa dal provvedimento.
Il comma 5 dell’art. 141 del D.lgs. n. 219 del 2006dispone che laddove le irregolarità risultino di lieve entità e siano sanabili in un congruo periodo di tempo, l’AIFA sospende l’AIC. La sospensione comporta, comunque, il divieto di vendita per tutto il tempo della sua durata. Così come la revoca, anche la sospensione costituisce provvedimento amministrativo, ed è in quanto tale impugnabile dinanzi al giudice amministrativo da parte dell’agenzia farmaceutica.

3.2 Sanzioni penali e amministrative. Risarcimento per danno da prodotti difettosi.
Gli artt. 147 e 148 del D.lgs. n. 219 del 2006 elencano le sanzioni penali ed amministrative previste in caso di illecito commercio di medicinali. Dal punto di vista della reintegrazione del danno da parte del danneggiato in sede civile, occorre valutare se il danno deriva da un difetto del prodotto, e in tal caso è possibile che si prospetti in capo al produttore responsabilità per danno da prodotto industriale (art. 2049 cc.) e da attività pericolosa (art. 2050 cc.)[xxvi]. Per quanto riguarda infine il paziente che abbia subito danno come conseguenza diretta dell’assunzione di un farmaco equivalente, qualora il danneggiato sia in grado di provare il nesso di causalità tra il danno subito e l’assunzione del farmaco equivalente in vece del farmaco “brand”, occorre valutare la sussistenza degli estremi di una responsabilità del professionista, a titolo di imperizia, il quale non abbia badato in fase di prescrizione ad eventuali variazioni nella composizione del prodotto (ad es., negli eccipienti).

Dott.ssa Valentina Di Marco

(con la supervisione dell’Avv. Luciano Barbuto)

 

Note

[i]Il Codice sancisce al secondo capoverso che “al medico è riconosciuta autonomia nella programmazione, nella scelta e nella applicazione di ogni presidio diagnostico e terapeutico, anche in regime di ricovero, fatta salva la libertà del paziente di rifiutarle e di assumersi la responsabilità del rifiuto stesso”.
[ii]Agenzia Italiana del Farmaco, Ufficio Informazione Medico Scientifica (IMS), “Medicinali Equivalenti. Qualità, sicurezza ed efficacia. Un viaggio allo scoperta delle regole per autorizzare un medicinale equivalente (generico)”, Dicembre 2015, disponibile al sito http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/medicinali_equivalenti-qualita_sicurezza_efficacia.pdf, p 19.
[iii]Agenzia Italiana del Farmaco, cit. supra, nota 2, p 3.
[iv]Di seguito AIC.
[v]Agenzia Italiana del Farmaco, cit. supra, nota 2, p 9.
[vi]Agenzia Italiana del Farmaco, cit. supra, nota 2, p 6.
[vii]Cons. Stato Sez. III, Sent. 07.09.2017, n. 4246.
[viii]Cons. Stato Sez. III, Sent. 07.09.2017, n. 4246, §8.1.
[ix]Agenzia Italiana del Farmaco, cit. supra, nota 2, p 6.
[x]C. Galli, Equivalenza terapeutica e diritto di brevetto nel settore farmaceutico, in Il diritto industriale, n. 6, 2017, p 522.
[xi]Cons. Stato Sez. III, Sent. 03.03.2017, n. 997
[xii]Cons. Stato Sez. III, Sent. 03.03.2017, n. 997, § 14.
[xiii]Agenzia Italiana del Farmaco, cit. supra, nota 2, p 10.
[xiv]Agenzia Italiana del Farmaco, cit. supra, nota 2, p 10.
[xv]Dette anche Norme di Buona Fabbricazione (NBF). Consistono nell’insieme di procedure messe in atto dal fabbricante nel processo di fabbricazione del farmaco, dall’approvvigionamento delle materie prime al rilascio sul mercato di ciascun lotto del medicinale.
[xvi]Agenzia Italiana del Farmaco, cit. supra, nota 2, p 11.
[xvii]Agenzia Italiana del Farmaco, cit. supra, nota 2, p 14.
[xviii]Agenzia Italiana del Farmaco, cit. supra, nota 2, p 13.
[xix]Agenzia Italiana del Farmaco, cit. supra, nota 2, pp 13-14.
[xx]Agenzia Italiana del Farmaco, cit. supra, nota 2, p 12.
[xxi]Agenzia Italiana del Farmaco, cit. supra, nota 2, p 19.
[xxii]Agenzia Italiana del Farmaco, cit. supra, nota 2, p. 19.
[xxiii]C. Galli, Equivalenza terapeutica e diritto di brevetto nel settore farmaceutico, in Il diritto industriale, n. 6, 2017, p 524.
[xxiv]C. Galli, Equivalenza terapeutica e diritto di brevetto nel settore farmaceutico, in Il diritto industriale, n. 6, 2017, pp 526-527.
[xxv]Cons. Stato Sez. III Sent., 07.09.2017, n. 4246, §8.2.
[xxvi]Da cui deriva la presunzione di responsabilità in capo al produttore del farmaco. Così in Cass. civ. Sez. III, 20-07-1993, n. 8069 (caso Scorfani c. Fincomos), in cui il Supremo Collegio sottolinea come tale presunzione “non [può] essere vinta con la sola prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, occorrendo anche la prova positiva di aver impiegato ogni cura o misura atta ad impedire l’evento dannoso.”

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