In ambito sanitario si parla di «contenzione meccanica» per indicare l’immobilizzazione parziale o totale di un paziente attraverso l’uso di strumenti atti a legare. Si intuisce già da ciò solo come tale pratica possa sopravvivere nel nostro ordinamento solo in quanto compatibile con le garanzie poste a presidio dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti dalla nostra Costituzione.

Viene in rilievo, innanzitutto, l’art. 13 della Costituzione. La norma, enunciato il principio della inviolabilità della libertà personale, al comma 2 stabilisce che non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione, o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria (riserva di giurisdizione) e nei soli casi e modi previsti dalla legge (riserva di legge). Provvedimenti limitativi potranno essere assunti dall’autorità di pubblica sicurezza solo in casi assolutamente eccezionali e con effetti provvisori sino alla convalida da parte dell’autorità giudiziaria. In ogni caso è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

Come chiarito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 11 del 1956, la libertà personale è il diritto di ciascuno a che il  «potere di coazione personale, di cui lo Stato è titolare, non sia esercitato se non in determinate circostanze e con il rispetto di talune forme», assicurandosi per questa via il necessario «contemperamento tra le due fondamentali esigenze, di non frapporre ostacoli all’esercizio di attività di prevenzione dei reati e di garantire il rispetto degli inviolabili diritti della personalità umana, […] attraverso il riconoscimento dei tradizionali diritti di habeas corpus nell’ambito del principio di stretta legalità».

L’evoluzione nell’interpretazione della norma ha condotto a ritenere che «sia possibile estendere le garanzie di cui all’art. 13 Cost. anche alle forme di coercizione morale, nell’ipotesi in cui le stesse si traducano in una limitazione tale da vincolare o addirittura obliterare la stessa facoltà di autodeterminazione del singolo rispetto al proprio essere fisico». In questo senso, la Corte Costituzionale ha precisato che si ha violazione dell’art. 13 Cost. ogniqualvolta si verifichi una «degradazione giuridica dell’individuo nel senso dell’avverarsi di una menomazione o mortificazione della dignità o del prestigio della persona, tale da poter essere equiparata a quell’assoggettamento all’altrui potere in cui si concreta la violazione dell’habeas corpus».

Esiste, dunque, nel nostro ordinamento una normativa che compiutamente disciplini la pratica della contenzione del paziente psichiatrico, come richiesto dall’art. 13 della Costituzione?

Quanto all’art. 60 del R.D. 16 agosto 1909, n. 615, di esecuzione della legge manicomiale 14 febbraio 1904, n. 36, tale norma, che prevedeva che «nei manicomi debbono essere aboliti o ridotti ai casi assolutamente eccezionali i mezzi di contenzione degli infermi e non possono essere usati se non con l’autorizzazione scritta del direttore o di un medico dell’istituto […]», deve ritenersi tacitamente abrogata dopo l’entrata in vigore della legge Basaglia (l. 13 maggio 1978, n. 180), per effetto del radicale mutamento del suo stesso contesto di applicazione.

Tralasciando in questa sede di approfondire le tesi di chi fonda la legittimità della contenzione su norme di carattere generale come l’art. 1372 c.c. (efficacia del contratto), art. 2047 c.c. (responsabilità del sorvegliante dell’incapace)e l’art. 54 c.p. (stato di necessità), spesso si richiamano l’art. 41 della l. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario), ove è disciplinato l’uso della forza la quale stabilisce nei confronti dei detenuti e degli internati, e l’art. 82 del d.p.r. 30 giugno 2000, n. 230 (contenente il regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario), il quale prevede per la contenzione nei penitenziari «l’uso dei mezzi impiegati per le medesime finalità presso le istituzioni ospedaliere pubbliche». Tuttavia il carattere speciale e settoriale di tali norme non sembra autorizzarne una estensione oltre l’ambito per il quale sono state dettate.

Deve, dunque, prendersi atto della mancanza a tutt’oggi di una normativa idonea a soddisfare la riserva di previsione legislativa dei casi e delle modalità con cui effettuare la contenzione del paziente psichiatrico, dunque anche della previsione di un procedimento assistito dalle idonee garanzie giurisdizionali, in violazione dell’art. 13 Cost.

Sul tema della contenzione può incidere, qualora si ritenesse di riconoscere ad essa natura in senso lato terapeutica, anche il disposto dell’art. 32, comma 2, Cost., per il quale «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». La norma afferma, dunque, il principio per cui di norma gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono volontari, e solo in casi eccezionali individuati dalla legge è possibile aversi atti medici obbligatori.

In attuazione della riserva di legge di cui all’art. 32 Cost., gli artt. 33-35 della l. 23 dicembre 1978, n. 833, disciplinano il procedimento di TSO, anche con riferimento al paziente psichiatrico. In essi non è menzionata la contenzione, tuttavia «poiché si riferiscono a trattamenti coattivi, è da ritenere che autorizzino l’uso della forza se necessario». Più in particolare, l’art. 34 prevede che, anche nei confronti delle persone affette da malattia mentale, nei casi di cui alla medesima legge e negli altri previsti da leggi dello Stato, possano essere disposti «dall’autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, secondo l’art. 32 della Costituzione, nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura». Il 4° comma dell’art. 34 prevede che il trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale sia effettuato in condizioni di degenza ospedaliera «solo se esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall’infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra-ospedaliere». Le norme sono, dunque, chiare nel disporre che anche durante il TSO psichiatrico deve essere ricercato il consenso dell’interessato, «sicché, in diritto, non sussiste alcuna coincidenza biunivoca tra TSO e contenzione».

Sul tema in esame è recentemente intervenuto anche il Comitato Nazionale per la Bioetica con il parere del 23 aprile 2015, intitolato «La contenzione: problemi bioetici».

Il Comitato sottolinea come sia necessario un cambio di paradigma. Non si tratta, infatti, di ricercare l’impossibile bilanciamento tra un principio di beneficenza, in forza del quale il sanitario può sempre intervenire, e il diritto all’autonomia e alla dignità della persona, quanto piuttosto riconoscere che l’uso della forza è in contrasto con una sana relazione terapeutica e  costituisce un fattore di inefficacia del trattamento della patologia psichica.

In quest’ottica, «il ricorso alle tecniche di contenzione meccanica deve rappresentare l’extrema ratio» e, anche nell’ambito del Trattamento Sanitario Obbligatorio, la contenzione deve avvenire «solamente in situazioni di reale necessità ed urgenza, in modo proporzionato alle esigenze concrete, utilizzando le modalità meno invasive e solamente per il tempo necessario al superamento delle condizioni che abbiano indotto a ricorrervi». In particolare, non è sufficiente «che il paziente versi in uno stato di mera agitazione», dovendo invece ricorrere una situazione di «pericolo grave ed attuale che il malato compia atti auto-lesivi o commetta un reato contro la persona nei confronti di terzi».

© Avv. Luciano Barbuto (breve sintesi della più ampia trattazione svolta quale lavoro conclusivo del Master di diritto Sanitario A.A. 2015/2016, Contenzione e Costituzione, in Contenzione e responsabilità sanitaria, a cura di S. Canestrari, Scuola di Specializzazione in studi sull’amministrazione pubblica – Centro di ricerca e formazione sul settore pubblico, 2017, ISBN 978 88 9801 064 6, ISSN 2464-8736.

[http://www.spisa.unibo.it/ricerca/pubblicazioni-del-master-di-i-livello-in-diritto-sanitario]

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